Pare opportuno ricordare che la Francia da tempo ha considerato "l'alea terapeutica" nei sinistri sanitari."Le législateur a voulu consacrer la responsabilité des professionnels ou des établissements essentiellement sur la notion classique de faute"(errore/colpa)."Il est crée un nouveau droit à indemnisation en cas d'aléa thérapeutique"."Lorsque la responsabilité d'un professionnel, d'un établissement, service ou organisme, n'est pas engagée, un accident médical, une affection iatrogène ou une infection nosocomiale ouvre droit à la réparation des préjudices du patient au titre de la solidarité nationale".La Francia da tempo ha dedicato una diversa disciplina ai casi "senza colpa" (L. Kouchner 2002-303). Anche la Germania, Finlandia, Danimarca, Svezia accanto ad un sistema basato sull'accertamento della colpa, contemplano un sistema NO FAULT.
Di recente si è avuto un considerevole aumento dell'utilizzodi tecnologie robotiche ed intelligenza artificiale in ambito sanitario e chirurgico in particolare. La realizzazione di sistemi "intelligenti" così perfezionati da non solo assistere la chirurgia sotto il controllo dell'operatore sanitario ma anche in grado di compiere scelte indipendenti (in tutto o in parte) dal comando dell'uomo, costituisce un fenomeno che solleva problematiche sia in campo etico che giuridico.Dal punto di vista etico ci si interroga sull’effettiva natura delle macchine capaci di scelte autonome.Sotto il profilo giuridico il diritto non riesce ad avanzare allo stesso rapido passo della tecnologia e applica categorie ed istituti precedenti a nuove frontiere.
Si annuncia da più parti di voler “riformare” la Legge 24/2017 /Gelli-Bianco). Il contenuto di molti articoli di questa legge va senz'altro difeso e non toccato, perchè si rischierebbe di tornare al medio evo giuridico.Sicuramente di gran pregio sono gli artt. 1 – 2 – 3 che hanno introdotto un sistema nazionale di monitoraggio e prevenzione del rischio sanitario, l'art. 5 che ha riconosciuto formalmente (normativamente) il ruolo delle Società Scientifiche (iscritte nell'apposito elenco presso il Ministero) quali erogatori ufficiali delle LG, nonché ha formalizzato il parametro oggettivo dell'osservanza alle LG e buone pratiche per la valutazione della correttezza della condotta medica, senza che detta osservanza limiti l'autonomia professionale del sanitario; l'art. 13 che impone alle strutture di comunicare ai sanitari se i pazienti iniziano azioni legali e se intendono risarcirli stragiudizialmente; l'art. 16 che impedisce al Giudice di acquisire i risultati degli audit e attività di gestione del rischio clinico e l'art. 15 sui CT e periti nei processi di responsabilità sanitaria che prevede oltre il medico legale, lo specialista.
La legge 24/2017 (Gelli) ha previsto che prima di citare nel giudizio civile il medico (e/o la struttura) debba esperirsi l'ATP o la mediazione.L'ATP è una CTU (perizia) in sede stragiudiziale con l'intervento del Giudice e delle parti.Il paziente e gli eredi in genere si rivolgono alla struttura, che si difende con il suo legale ed il suo consulente, dandone informativa al medico. Quando la CTU (perizia) è sfavorevole, spesso l'azienda risarcisce transattivamente il paziente e invia gli atti alla Corte dei Conti per recuperare le somme, ponendo il risarcimento erogato a carico del medico, contro cui si istaura il giudizio contabile (per danno erariale e colpa grave). In difetto il paziente adisce il giudice civile. Nell'ATPè stata prevista la presenza in contraddittorio di tutte le parti, inclusa l'assicurazione, ma la mancata emissione del decreto attuativo non incoraggia la necessaria presenza della compagnia assicurativa.La procedura è costosa e senza copertura delle spese sostenute dal medico, che pertanto non partecipa "ad adiuvandum" ma solo se espressamente citato assieme alla struttura, dovendo sostenere in proprio i costi dell'avvocato e del consulente. Inoltre gli esperti nominati dal Giudice che svolgono le operazioni peritali, dovrebbero avere competenze di "conciliatori" per tentare una definizione bonaria della controversia. Tali competenze mancano e l'avvicinamento fruttuoso delle parti avversarie risulta raro e difficile.Del pari non è risolutiva la mediazione che in ambito sanitario nella maggioranza dei casi si conclude con esito negativo perchè le parti si incontrano in presenza dei loro legali ma senza i rispettivi consulenti tecnici, nè esame della documentazione clinica. Trattandosi di controversie basate su prove tecniche, il fallimento dell'incontro è assicurato e il verbale negativo è solo lo step burocratico per procedere alla citazione civile, spesso già preparata dal legale del paziente asseritamente leso.
Nell'attuale sistema la responsabilità dell'ente (ospedale, clinica accreditata) deriva dalla condotta colposa del proprio dipendente che ha cagionato un danno (lesione o morte) al paziente. La struttura risponde se non risarcisce il medico o sanitario quando nel processo penale ci sia stata la chiamata in causa del datore di lavoro quale "responsabile civile".Val la pena ricordare che il Dlgs 231/2001 ha introdotto la responsabilità delle persone giuridiche e delle società derivante da reato.Si tratta di una responsabilità "ibrida" di natura amministrativa anche se l'accertamento dell'illecito è demandato al giudice penale nell'ambito del processo penale. Questa responsabilità deriva dalla commissione di un reato da parte di un soggetto che ricopre una posizione di vertice o sia dipendente dell'ente e si postula un vantaggio per la struttura.
Nel quadro della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo il diritto alla salute ha conquistato uno spazio sempre più significativo cosicchè anche la Corte di Strasburgo si è interessata direttamente di riconoscimenti e tutele. Secondo una lettura sistematica dell'art. 1 e 2 della CEDU la Corte ha iniziato a richiedere alle autorità statali d'intervenire con diligenza e tempestività per realizzare il diritto alla salute dell'individuo e della collettività e salvaguardare la vita e l'integrità psicofisica individuale con obblighi positivi di carattere sostanziale, civile, penale, amministrativo, nonchè di carattere procedurale per assicurare processi celeri, risarcimenti dei danni. Si è poi previsto a carico degli Stati membri l'adozione di misure operative di carattere preventivo che attengono all'istituzione di sistemi di monitoraggio e prevenzione del rischio sanitario.
E' evidente la disomogeneità territoriale delle prestazioni dei servizi nelle varie regioni. Le insufficienze strutturali, la carenza di tecnologie, di divisioni specialistiche di eccellenza, alimentano il fenomeno della migrazione sanitaria verso gli ospedali del centro nord con disagi di tempi di attesa per i cittadini residenti. Ma ora le regioni del nord risultano spesso prive di copertura assicurativa.L'analisi della mutata realtà socio sanitaria mostra come luogo privilegiato per il verificarsi di episodi di “medical malpractice” una struttura organizzata , dove l'attività sanitaria viene tradotta in servizio. Tuttavia raramente nella ricostruzione giudiziaria della vicenda clinica viene preso in esame un disservizio o una disfunzione organizzativa della struttura sanitaria, indagandosi invece sempre sulla colpa personale dell'operatore sanitario o dell'equipe, specie chirurgica, anche in quei casi in cui sia ravvisabile una carenza dell'organizzazione della struttura.
Dagli anni '70 si è sentita l'esigenza di delimitare l'aerea di operatività della "colpa grave", circoscrivendola al riferimento a casi di "particolari difficoltà tecniche". Un intervento o trattamento caratterizzati da "particolari difficoltà tecniche", avrebbero potuto giustificare una diversa valutazione della gravità dell'imperizia in ambito sanitario davanti al giudice civile per applicazione dell'art. 2236 cc. Nel frattempo nel campo penale il criterio della "colpa grave" veniva ancorato a due limiti: innanzitutto le speciali difficoltà della prestazione da eseguire, escludendo le operazioni di routine o comunque non comportanti abilità fuori del comune ed inoltre includendo la sola colpa per "imperizia", lasciando escluse la colpa per "negligenza" ed "imprudenza", perchè innanzi a prestazioni di particolare complessità tecnica è richiesta maggiore diligenza e prudenza quindi il vaglio del giudice non è più indulgente ma più severo. La mancanza di applicazione nell'accertamento penalistico, al criterio di cui all'art. 2236 cc, circoscritto al solo ambito civilistico, portava alla paradossale situazione per la quale un medico poteva essere ritenuto responsabile in sede penale rispetto ad un fatto ritenuto lecito o comunque non rilevante o non punibile in sede civile.
Com'è noto nel rimprovero per responsabilità medica è necessario che oltre alla negligenza, imprudenza, imperizia sussista un rapporto di causalità che leghi detta condotta colposa all'evento avverso. L'art. 41 cp afferma che: "Il concorso di cause pre-esistenti o simultanee o sopravvenute anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole non esclude il rapporto di causalità tra l'azione o l'omissione e l'evento." Ecco perchè molte volte si riscontra nei processi oltre alla censura di omessa diagnosi e/o ritardo nell'intervento, quale ipotesi ascritta ad uno o più chirurghi anche l'imputazione (in cooperazione colposa) a carico dei medici che sono intervenuti successivamente se si è verificato un incorretto intervento o un intervento riparatore o salvavita per il paziente. L'art. 41 c. 2 cp prevede che il nesso causale tra la condotta dell'agente e l'evento possa essere interrotto. Il dettato normativo afferma: "Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento". Notiamo che si tratta delle sole cause sopravvenute, con esclusione di quelle contemporanee o pre-esistenti.Le cause prese in considerazione per l'effetto interruttivo del nesso causale devono essere poi autonome ossia in grado da sole di determinare l'evento indipendentemente dall'azione del soggetto. La giurisprudenza ha chiarito molte volte che va intesa come causa sopravvenuta quella da sola sufficiente a determinare l'evento seppur si inserisce nella serie causale dove figura anche la condotta dell'imputato, ma agisce per esclusiva forza propria nella determinazione dell'evento, in modo che la condotta dell'imputato costituisce un antecedente necessario ma rispetto all'evento assume il ruolo non di fattore causale ma di semplice occasione (Cass. pen. sez. n. 6918/2016). Quindi si è in presenza di un decorso causale autonomo quando vi sono cause sopravvenute, da sole sufficienti a determinare l'evento e del tutto indipendenti dalla condotta dell'imputato anche se astrattamente si possono avere in sinergia.In altri termini il magistrato dovrà ipotizzare in astratto l'esclusione di una delle due cause effettuando la verifica controfattuale e giungere alla conclusione che l'evento non si sarebbe verificato ritenendo necessariamente che i fatti sopraggiunti (sia naturali che condotte umane) siano del tutto indipendenti dalla condotta del soggetto agente per quanto attiene alla loro efficacia causale. Si tratta dunque di fattori completamente atipici, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale che non si verificano se non in casi del tutto imprevedibili. Di conseguenza in relazione all'interruzione del nesso di causalità, riguardo alla possibilità di riconoscere efficacia interruttiva all'errore di un chirurgo nel prestare le cure al paziente, vittima di una pre-esistente condotta errata del collega, si possono verificare due ipotesi: quella dovuta ad un errore per omissione nel prestare le cure o per esempio nel porre una corretta diagnosi e quella dell'errore cagionato da una condotta attiva, per esempio un intervento eseguito in maniera imperita per riparare alla tardività della diagnosi o alla tardività esecutiva dell'intervento.I giudici si orientano spesso nel senso di negare efficacia interruttiva del nesso causale nelle ipotesi in cui ci sia stata un'omissione ma la condotta dei medici successiva non possa ritenersi causa autonoma e indipendente rispetto al comportamento dell'agente che ha provocato il fatto lesivo e ha reso necessario l'intervento dei chirurghi che si sono succeduti. Da un lato si può notare una condotta per es. negligente, o imprudente o imperita per aver ritardato un'operazione o per aver omesso una diagnosi e poi un errore da imperizia nell'esecuzione del reintervento o dell'intervento non eseguito dalla precedente equipe.Occorre senz'altro analizzare di volta in volta la fattispecie concreta per verificare la tipologia dell'errore medico, la gravità e poi la cooperazione colposa degli altri colleghi. La Cassazione è molto attestata nel negare efficacia interruttiva all'errore medico a fronte del possibile nesso di condizionamento tra la precedente condotta colposa dei colleghi e l'evento in concreto verificatosi. Per esempio in molti processi la condotta omissiva del medico (tardività di diagnosi o mancato intervento) non elide il nesso causale tra le condotte dell'agente e l'evento morte quando poi per imperizia i sanitari che si sono succeduti abbiano errato nell'esecuzione tecnica dell'intervento.La casistica giudiziaria evidenzia come sia più frequentemente escluso il nesso di causalità in situazioni di colpa commissiva che non nel caso di omissioni di terapie che dovevano essere applicate per impedire le complicanze. L'errore del medico non può prescindere dall'evento che ha fatto sorgere la necessità della prestazione sanitaria successiva, per cui la catena causale resta integra e non interrotta (Cass. pen. sez. I n. 36724/2015 e seg).Resta il principio e l'applicazione secondo cui l'efficacia interruttiva è da ascrivere soltanto in caso di serie causale totalmente autonoma, che si ricollega al fattore sopravvenuto imprevedibile ed inevitabile. Quando si è in presenza di un fattore eccezionale e sopravvenuto ed in presenza di prestazioni di più sanitari, la precedente condotta altrui censurabile può assumere un'autonomia nella causazione dell'evento ed ergersi a causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, quando per esempio l'incolpevole intervento riparatore non ha potuto più avere esito positivo per le condizioni ormai compromesse del paziente. Viceversa il nesso di causalità tra condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia verso il paziente non viene meno per effetto di un successivo mancato intervento da parte di un altro sanitario, altrettanto destinatario dell'obbligo d'impedire l'evento e quindi portatore della posizione di garanzia. Si configura in queste ipotesi un concorso di cause proprie ai sensi dell'art. 41 c. 1 cp.
Nei processi di responsabilità medica vengono spesso alla ribalta i concetti di "urgenza" ed emergenza, contrassegnati dall'importanza del fattore tempo, protagonista del destino del paziente. La L. 219/2017 (sul consenso informato) sancisce all'art. 1 c. 7 che "nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell'equipe sanitaria assicurano le cure necessarie nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla". Con riferimento alla situazione di "urgenza" notiamo subito che troppo spesso in ambito giuridico essa è equiparata all'emergenza, differentemente da quanto ritenuto dalla scienza medica.L'urgenza viene in genere intesa come modalità d'insorgenza di una problematica clinica grave, repentina, che richiede decisioni ed interventi immediati e non procrastinabili, spesso salvavita. In ambito giudiziario è ricollegata alla possibilità d'invocare l'applicazione dell'art. 54 cp, quale scriminante, che recita: "non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri da un pericolo attuale di danno alla persona, da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile sempre che vi sia proporzione tra fatto e pericolo.
Molti aspetti della L. 219/2017 destano dibattiti ed incertezze interpretative, tra questi sicuramente le previsioni del diritto del paziente di rifiutare i trattamenti sanitari o d'interrompere l'esecuzione, ancorchè si tratti di atti medici per la sopravvivenza.Prima dell'intervento del legislatore la giurisprudenza si era varie volte interessata a questa delicata tematica con approdi diversi e anche contrastanti.Si deve trattare sempre di una manifestazione di volontà del paziente, personale, libera, attuale, concreta e a seguito di corretta informazione. La tutela dell'autodeterminazione del paziente e la competenza e autonomia professionale (e responsabilità) del medico prima dell'entrata in vigore della L. 219/2017 è stata affidata ai giudici che hanno negli anni affermato principi poi consacrati nel testo normativo, anche esprimendo una sensibilità sociale evolutasi nel tempo.
Secondo i dati correnti in chirurgia le donne sono sempre più numerose e tra i chirurghi under 50 vi sarebbero più le donne che gli uomini. In ben 11 rami della chirurgia il numero delle specializzande sarebbe superiore a quello dei colleghi uomini. Naturalmente l'impegno per arrivare a ricoprire posizioni apicali è assai gravoso e ancora molte donne chirurgo ricoprono a vita il ruolo di secondo o terzo operatore nell'equipe soprattutto per gli interventi di elevata complessità. Con soddisfazione può notarsi che l'ACOI non dà peso alle differenze di genere, investe molto sui giovani affinchè tornino ad essere affascinati e appassionati dal mondo della chirurgia. Le donne chirurgo sembrano molto precise, delicate nella somministrazione delle informative e raccolta dei consensi informati e dedicherebbero più tempo al rapporto col paziente e a ben interpretare la sua volontà, i suoi dubbi e i suoi timori.
L'evento ACOI Fondazione del 16.2 us ha portato alla ribalta i "temi caldi" della sicurezza e del consenso del paziente. A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo negli Stati Uniti d’America è iniziato un processo di incremento esponenziale del contenzioso giudiziario penale e civile per la responsabilità in ambito medico. All’aumento del numero e all’onerosità dei risarcimenti da responsabilità professionale in sanità, sono conseguiti sia una maggiorazione spropositata dei costi delle polizze sia una contrazione dell'offerta assicurativa.Nel novembre del 2000 veniva pubblicato negli Stati Uniti, a cura dell’Institute of Medicine (IOM), il rapporto: “To err is human: “Building a safer healthcare system” 1, che conteneva l’analisi dell’allarmante fenomeno della “malpractice” che causava ogni anno da 44000 a 98000 vittime di errori medici, con costi di oltre 37,6 miliardi di dollari. L’attenzione veniva infatti spostata sulle condizioni organizzative, possibili cause del verificarsi dell’evento avverso. La ricerca metteva anche in rilievo come la carente o cattiva informazione ai pazienti fosse ulteriore motivo di contenzioso. E' infatti indispensabile una corretta informativa al paziente perchè rilasci un valido consenso.Di chi è la colpa? La responsabilità dell’evento avverso può dipendere da cause legate al fattore umano e alla qualità tecnica della prestazione, ma può anche essere imputata all’organizzazione dei sistemi aziendali e ai percorsi di diagnosi, cura e assistenza.
Il consenso del paziente ad interventi e trattamenti non urgenti torna a far parlare di sé nella giurisprudenza non solo penale ma anche della Corte dei Conti, quando tratta di responsabilità medica.Val la pena rammentare i requisiti di validità: 1) deve essere dato prima del trattamento terapeutico; 2) deve essere manifestato esplicitamente al sanitario che procede o membro dell'equipe; 3) deve provenire da persona che ha la disponibilità del diritto (maggiore di età, capacità giuridica); 4) deve essere dato liberamente e immune da errori; 5) può essere sempre revocato;6) deve essere richiesto per ogni trattamento (limitato ad un tipo di trattamento e non ad uno diverso) ;7) deve essere preceduto da informazioni chiare e comprensibili sulla malattia, sulle indicazioni terapeutiche, necessità di esami diagnostici se invasivi, caratteristiche della prestazione, tutto in rapporto alla capacità di apprendimento del paziente; 8) la persona che deve dare il consenso deve essere messa a conoscenza dell'indicazione chirurgica o necessità e di eventuali alternative diagnostiche o terapeutiche; 9) la persona che deve dare il consenso deve essere messa a conoscenza dei rischi connessi all'intervento e percentuale di incidenza, nonché sui rischi connessi alla mancata effettuazione della prestazione; 10) la persona che deve dare il consenso deve essere informata sulla capacità della struttura sanitaria ad intervenire in caso di manifestazione del rischio temuto;11) la prova dell'avvenuto consenso scritto deve entrare a far parte della cartella clinica.
In alcuni casi la Corte dei Conti ha statuito che la violazione da parte del medico del dovere di informazione al paziente e di acquisirne il consenso conferisce, con consolidato riferimento all’ambito civilistico, carattere di illiceità all’atto sanitario, a prescindere dalla sua conformità o meno alle leges artis, vista la lesione del duplice diritto costituzionale all’autodeterminazione e alla salute. L’opus del sanitario che non presta una valida informazione è riconducibile al paradigma dell’art. 2236 c.c. Tale omissione deve ritenersi caratterizzata da colpa grave e, come tale, sanzionabile dalla magistratura contabile (Corte dei conti, Sez. giur. Sicilia, n. 828/2010)".